Categoria: News

29 Mar 2020

Il Vix, il termometro della paura.

Si chiama Vix ed è il termometro della febbre sui mercati.

Ribattezzato l’indice della paura, se il Vix esplode al rialzo, vuol dire che i trader stanno vendendo quello che hanno in portafoglio e, dunque, si aspettano tempi peggiori.

Venerdì 29 febbraio, nella settimana più pesante per i listini dalla crisi dell’ottobre 2008, il Vix – che è più che triplicato rispetto alla posizione pre-virus – ha toccato un nuovo record in negativo che non si vedeva dal 2009.

Una febbre così alta si era avuta solo quattro volte negli ultimi 20 anni: nel 2011 e nel 2010 (anni di crisi per la paura sui bond sovrani), nel 2008 (dopo il crack della Lehman Brothers) e nel 2002 (con lo scoppio della bolla della new economy).

 

La caratteristica principale di questo indice è quella, infatti, che, quando le cose nel mondo vanno male e le borse iniziano a scendere, lui sale.

Sale la febbre.

 

 

Al contrario, quando ha un andamento stabile e poco mosso, è considerato un buon segnale: significa mare poco mosso all’orizzonte, buon auspicio per continuare a navigare senza eccessive paure.

E’ proprio come quando nella vita ci troviamo di fronte a situazioni inattese e che soprattutto non conosciamo, ci assale la paura. La stessa cosa accade sui mercati: la primissima reazione è il “panic selling”.

Quello che si è verificato allo scoppio conclamato della pandemia del coronavirus è stato proprio questo: l’indice Vix è schizzato alle stelle, come mai era successo prima.

Gli indici azionari a livello globale hanno subito un contraccolpo pesante, ma soprattutto improvviso e repentino.

 

Ma qualche segnale positivo, si inizia ad intravedere.

E sembra che la febbre bollente e delirante si sia un po’ abbassata, lasciando intravedere buone speranze.

 

La febbre non è ancora passata, anzi.

Ma quando c’è febbre e il pericolo di morte sembra scampato, sui mercati iniziano ad aprirsi importanti opportunità.

Con metodo, entrando per gradi, ma entrando.

Perché cosi come questa febbre alta è arrivata all’ improvviso, così velocemente potrebbe andarsene e riportare presto alla situazione di partenza.

 

20 Mar 2020

Il P.A.C. va sempre bene, oggi ancor di più!

Quando iniziano i saldi, i negozi vengono presi d’assalto.

L’unico negozio da cui, invece di entrare quando ci sono i saldi, tutti scappano, è il negozio della Finanza.

Come mai invece non ne approfittiamo?

Se a Gennaio 2020 (l’altro ieri!), per comprare 1 azione dell’ ENI pagavo più di 14 euro, come mai, oggi che costa la metà (uno sconto del 50%), non corro a comprarla?

Il valore (da non confondere con il prezzo!) di Aziende come l’Eni (per fare un esempio vicino a noi) non può essersi dimezzato in 2 mesi, così come non perde il suo valore una borsetta di Luis Vitton acquistata sfruttando i prezzi in periodo di saldi.

Bene:  dobbiamo sapere che sui Mercati Finanziari, in questo periodo, è aperta la stagione dei SALDI.

In questo video voglio illustrati i dati che ci indicano le opportunità che si sono aperte in questo periodo, da sfruttare senza ombra di dubbio, ma senza correre, diversificando e con un piano di ingressi dilazionato e programmato.

Il buon vecchio PAC (piano di accumulo del capitale), per intenderci.

I SALDI (è nella loro natura) purtroppo FINISCONO sempre, e i prezzi riprenderanno a salire, superando i prezzi pre-saldi.

Questo è il mercato, non solo finanziario.

Buona visione

 

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10 Mar 2020

Oggi come ieri.

Calma e pazienza. Testa e non pancia. E’ il momento della ragione.

Oggi come ieri.

9 marzo di 11 anni fa. Il punto più basso toccato dalle borse mondiali dopo il default Lehmann.

I numeri ci dicono che lo S&P 500 quotava attorno agli 800 punti.

Mercati paralizzati, la fine del mondo. Ricordate quei momenti?

Il Crack Lehmann Brother aveva precipitato le borse mondiali ad un meno 30 rispetto ai massimi del 2007.

Ora però guardiamo i numeri di oggi e stampiamoli nella nostra mente.

Si è vero, ieri è stata una giornata sui mercati che probabilmente rimarrà nella storia come sono rimasti nella storia tutti i grandi tonfi che ci hanno preceduto.

Lo S&P500 con il meno meno 8% di ieri, sta perdendo, dai massimi del 19 febbraio 2020 oltre il 17%.

Il dato relativo spaventa.

Il punto è che dobbiamo guardare il dato assoluto. E cioè che lo S&P 500 oggi vale la bellezza di oltre 2700 punti. E cioè circa il 240% in più di 11 anni fa.

Dobbiamo ricordarci questo non perché domani spariranno di colpo la volatilità e l’incertezza sui mercati.

Ma semplicemente perché il 9 marzo 2020 come il 9 marzo 2009 saranno ricordati tra qualche tempo allo stesso modo: come un giorno di grande paura, che alcuni hanno saputo trasformare in un giorno di grande opportunità.

#restiamoacasa

#ilmondononsiferma

#ilmondoriparte

 

http://https://www.corriere.it/esteri/20_marzo_09/coronavirus-wuhan-nuovi-casi-6b1bdccc-61eb-11ea-9897-5c6f48cf812d.shtml

 

 

 

 

08 Mar 2020

What You See Is All There Is

E’ inutile nasconderlo e fare finta di niente: quello che stiamo vivendo l’abbiamo visto solo nei film di fantascienza sulla fine del mondo.

Non sono un medico, né tanto meno un virologo e mi rendo conto che le restrizioni temporanee messe in atto dal governo, sono una medicina necessaria per sconfiggere questo maledetto virus.

Non sono un virologo, dicevo, ma nel mio piccolo, me ne intendo però abbastanza di “virus finanziari”.

Infatti, oltre alle preoccupazioni socio-sanitarie di questi giorni, a lato, ovviamente, i mercati ci hanno messo il carico da novanta.

La paura, che è un sentimento innato ed utilissimo nel segnalarci situazioni nuove, potenzialmente pericolose, può farci perdere di vista la realtà.

Daniel Kahnemann, psicologo e premio Nobel per l’Economia nel 2002, sosteneva che ciò che VEDI è ciò che E’.

In pratica, sosteneva Kahnemann, tutti noi prendiamo decisioni in base alle informazioni che abbiamo disponibili, in base a ciò che vediamo e che ci aiuta a filtrare la realtà. Purtroppo, molto spesso, la realtà è più complessa di quello che pensiamo e per conoscerla effettivamente necessita di approfondimenti e di più informazioni che magari non abbiamo disponibili o non conosciamo.

In sintesi, ci invitava a fare grande attenzione, anche in Finanza, fra ciò che è REALTA’ e ciò che è la nostra PERCEZIONE della realtà.

What You See Is All There Is – WYSIATI.

Ma sui mercati, la realtà è così disastrosa come molti risparmiatori pensano?

 

 

 

 

 

 

 

 

 

E’ vero. Dal 19 febbraio, il picco massimo là in alto, l’indice azionario globale ha perso circa l’11,5%, tornando a trattare ai prezzi di settembre/ottobre 2019. OTTOBRE 2019 … l’altro ieri, per intenderci.

Ma l’avversione alle perdite è il bias cognitivo più pericoloso in Finanza, in quanto ci fa perdere l’ottica di lungo periodo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Tradotto: ricordiamoci cosa ci hanno restituito i mercati negli ultimi 15 anni e che oggi siamo quel cerchietto rosso là in alto.

 

Guardando infatti l’andamento dei principali listini, quel che emerge è che assolutamente non sembra la fine del mondo. Anzi si scorge già qualche bel segnale che arriva proprio dalla Tigre Asiatica, là dove è iniziato tutto.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

I dati (se letti con cura, tornando a Kahnemann) ci dicono che la principale piazza asiatica, Lo Shangai Composite, dal 20 gennaio, giorno in cui la Repubblica Popolare Cinese ha annunciato al mondo lo scoppio dell’epidemia, ha perso oltre l’11%, toccando, il 3 febbraio il punto più basso e concretizzando un – 9% dall’inizio dell’anno.

Bene, la realtà ci dice che oggi, a circa un mese da quel 3 febbraio, lo Shangai Composite ha RECUPERATO TUTTO.

 

Le Borse occidentali (Dow Jones,S&P 500, Eurostoxx etc..) hanno iniziato la loro discesa più tardi. Esattamente un mese dopo rispetto allo Shangai Composite.  E in questo momento siamo in una forbice compresa tra il meno 10 e il meno 15.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Cosa significa?

Solo una cosa, dal mio personalissimo punto di vista di “virologo finanziario”: che è assolutamente un momento buono, per chi ha liquidità parcheggiata, per iniziare ad entrare … magari attraverso un meccanismo di accumulazione, ma entrare.

Per chi invece è investito, non disinvestire.

Quando inizierà la ripresa, sarà repentina, a doppia cifra.

Ed uscire dai mercati significa, solo ed unicamente, concretizzare la perdita ma soprattutto perdersi definitivamente l’opportunità di recuperarla in fretta e lasciarsela alle spalle.

E questa credo sia una buona notizia, non solo dal punto di vista finanziario.

 

 

Mi chiamo Mauro Valentino, sono un Consulente Finanziario iscritto all’Albo Unico dei Consulenti Finanziari (OCF www.organismocf.it ) e sono certificato EFPA, European Financial Advisor (https://www.efpa-italia.it/che-cosa-e-la-certificazione-efpa/efa/) .

Per qualsiasi dubbio, scambio, approfondimento sono a completa disposizione. Scrivimi, sarà un piacere potermi confrontare con te.

Un caro saluto e a presto,

Mauro

 

#ilmondononsiferma

 

 

29 Feb 2020

Coronavirus ed altre catasfrofi. Razionalità od emotività?

La paura è un sentimento innato, ed è uno strumento utile a segnalarci delle situazioni: sta a noi lasciarci travolgere dagli eventi o tramutarli in opportunità.

Quel che è certo è che il mondo non finisce oggi con il coronavirus. Questa epidemia verrà sconfitta e l’economia, che ora sta soffrendo, ripartirà.

I dati: l’indice azionario globale (MCSI World) dai 2400 $ circa di metà gennaio (scoppio del coronavirus) ha ritracciato scendendo a circa 2180 $. Significa circa un 10%.

L’indice è tornato a trattare ai prezzi di Settembre 2019.

Un bel tonfo, non c’è dubbio. E probabilmente non è finita qui.

 

E quindi cosa facciamo? Usciamo dall’azionario? Salviamo il salvabile? Li mettiamo sotto il materasso e chi si è visto si è visto?

Se dovessimo dare corso al sentimento di paura che ci assale in questi momenti, dovremmo proprio agire così.

Ma vi siete domandati poi che cosa me ne faccio di tutti questi soldi sotto il materasso?

Per “materasso” intendo anche il conto corrente, ovviamente.

Riformulo: se li metto sul conto corrente, poi cosa me ne faccio? Investo nell’immobiliare? O rientro sui mercati?

Se penso di rientrare sui mercati, ho pensato a quando rientrarci?

Certo che ci ho pensato, quando le acque si saranno calmate, ovviamente.

E quand’è che le acque sono calme e il nostro sentimento di paura ci abbandona?

Quando il mercato sale.

E fin qui … solo che, magari (anzi meglio senza “magari”) lo sta già facendo da un pezzo. E il treno lo abbiamo già perso.

Esiste infatti un tipico comportamento (errato) del risparmiatore italiano: cioè quello di pensare di sapere qual è il momento migliore per entrare sui mercati. I gestori dei più grandi fondi internazionali (quei signori, che per intenderci si vedono nei notiziari di finanza e che fanno il lavoro di stare incollati ai monitor dei pc per seguire l’andamento delle borse mondiali, per comprare e vendere) definiscono questo momento, e cioè il “Market Timing”, che il risparmiatore italiano pensa di conoscere a menadito, come “il Sacro Graal” della Finanza.

Tutti lo cercano e nessuno lo ha mai trovato.

Detto questo, proviamo ora a prendere una boccata d’ossigeno, facciamo un bel respiro profondo e diamo un’occhiata a questo grafico.

Guardando all’azionario globale, questo momento catasfrofico che stiamo vivendo è rappresentato da quel cerchietto rosso.

Non voglio sminuire, voglio solo circoscrivere.

Negli ultimi 15 anni siamo di fronte ad un azionario globale (e quindi ad una economia globale), che al netto della crisi del 2008, della crisi del debito sovrano, dell’ “anno orribilis” del 2018 e del coronavirus, ha di fatto raddoppiato il suo valore (100%).

Lascio a voi i conti.

 

 

La paura ci porta a vendere quando il mercato scende e a comprare quando il mercato sale.

Siamo sicuri che sia la soluzione più razionale? O razionale è comportarsi esattamente al contrario e sfruttare i “saldi” che inevitabilmente si offrono in questi momenti per entrare sul mercato?

 

#ilmondononsiferma

 

Mi chiamo Mauro Valentino e sono un Consulente Finanziario iscritto all’Albo Unico dei Consulenti Finanziari (OCF) e certificato EFPA – European Financial Advisor (https://www.efpa-italia.it/che-cosa-e-la-certificazione-efpa/efa/).

Per qualsiasi dubbio, approfondimento, scambio di pareri, scrivimi senza impegno ai miei recapiti. Sarà un piacere poterti rispondere.

Grazie e a presto,

 

Mauro

14 Feb 2020

RUMORE vs INFORMAZIONE

Ovvero: panico contro razionalità.

A livello finanziario, notizie come quelle di seguito, che nel giro di nemmeno un mese dallo scoppio dell’epidemia del Coronavirus passano da titoli tipo “Crollo dei Mercati” a titoli come “I Mercati vedono la fine dell’emergenza”, non valgono nulla a livello informativo. Sono solo rumore.

Non che l’epidemia del Coronavirus sia da sottovalutare o sottostimare (e non lo è affatto), semplicemente, a livello economico e finanziario, i suoi effetti non sono ancora misurabili.

Mi spiego meglio: questo modo di fare informazione, serve solo a creare panico nell’investitore. Un giorno il Coronavirus annienta tutta l’economia globale, il giorno dopo le borse confidano nella fine dell’emergenza.

 

 

Notizie, a stretto giro, che danno input contrastanti o addirittura opposti. Questa non è informazione. Non è misurabile, non è certa. E’ solo rumore.

E il rumore non può aiutare l’investitore a fare scelte ponderate, razionali.

A livello finanziario, infatti, come ribadito in un mio precedente post di poche settimane fa, l’effetto negativo del Coronavirus è durato una settimana circa, con l’indice azionario globale che ha stornato di circa il 2%, salvo poi riprenderlo con gli interessi nelle settimane successive.

Qual’ è invece l’informazione vera di questi ultimi giorni, che, in mezzo al frastuono del coronavirus,  è passata inevitabilmente in secondo piano?

Il crollo delle nascite in Italia.

 

A chi si domanda cosa c’entri questo con la situazione finanziaria attuale e futura, provi a rispondersi pensando a quale Welfare può assicurare un Paese vecchio.

A quale crescita economica possa generare.

A quali impatti ci saranno sulla sostenibilità del bilancio famigliare, sull’assistenza, sulla previdenza … .

Dopodichè ragioni su quali nuove abitudini finanziarie questa rivoluzione silenziosa, che pochi guardano, dovrebbe attivare.

Eccola la vera informazione.

 

Mi chiamo Mauro Valentino e sono un Consulente Finanziario iscritto all’Albo Unico dei Consulenti Finanziari OCF (www.organismocf.it) e certificato EFPA, European Finanzial Advisor.

Per qualsiasi domanda, dubbio, approfondimento, scrivimi ai miei riferimenti in calce, sarò lieto di poterti rispondere.

Ti ringrazio per l’attenzione,

a presto

Mauro

 

fonte: Kaidan by Ecomatica

08 Feb 2020

Cybersecurity: il megatrend del momento.

Ormai tutti i nostri dati sono in rete.

Disposizioni bancarie, shopping, conversazioni sensibili, spostamenti: sono solo alcune delle informazioni strettamente personali che finiscono ogni giorno nella rete. E, in un mondo in cui l’informazione è potere, tutti questi dati sono potenziali bersagli di attacchi cibernetici malevoli – clonazione della carta di credito, furto di identità e così via.

Su una scala più ampia il discorso si complica: ci basti pensare all’interferenza russa nelle elezioni presidenziali statunitensi del 2016 attraverso i social media o alla denuncia dell’amministrazione Trump contro Huawei1, in merito a un probabile furto d’informazioni digitali attraverso la tecnologia 5G. Si parla di “data breach” su scala globale, in grado di coinvolgere milioni di persone e di pesare enormemente sull’economia.

Ecco perché proteggere i dati e tutelare i cittadini da potenziali reati informatici è diventata ormai una priorità per molti Stati e aziende di tutto il mondo.

 

Un mondo digitale da proteggere.

La tendenza sembra destinata a crescere nei prossimi anni. Stando a un report messo a punto dall’associazione GSMA, entro il 2025 il numero di dispositivi connessi alla rete grazie alla cosiddetta Internet of Things arriverà a toccare i 25 miliardi dai circa 10 miliardi attuali – e le stime sono tra le più conservative: non più solo smartphone e pc, ma anche automobili, sistemi di allarme e di riscaldamento, frigoriferi, lavastoviglie, stampanti, telecamere, orologi, solo per fare qualche esempio.

Parallelamente, si diffonde a macchia d’olio l’utilizzo del cloud computing, un “archivio” nell’etere che permette di accedere al proprio spazio riservato da vari dispositivi, ma che presta inevitabilmente il fianco a possibili attacchi informatici.

Insomma, se da un lato Internet sta rivoluzionando la nostra società, creando nuove modalità di scambio economico e commerciale, dall’altro sta introducendo minacce inedite, con rischi che vanno dal furto della proprietà intellettuale alla sottrazione di dati personali e finanziari fino all’appropriazione indebita.

L’impatto economico non è trascurabile. Il World Economic Forum (WEF) ha inserito il cyber risk tra i rischi globali più significativi per il 2019 e il Global Risks Report (2019) ha previsto che il crimine informatico costerà all’economia globale oltre 6 mila miliardi di dollari entro il 2021, contro i 3 mila miliardi del 2015.

Tutto questo rende necessaria la messa a punto di soluzioni di sicurezza informatica.

Cosa si intende per sicurezza informatica?

In estrema sintesi, la cybersecurity racchiude varie discipline impiegate per proteggere i sistemi informatici (e i dati in essi contenuti) dall’intrusione di ospiti indesiderati. Ne fanno parte da un lato i fornitori di infrastrutture, che sviluppano hardware e software per la protezione dell’accesso a reti e file – produttori di antivirus, di firewall e di sistemi contro le intrusioni informatiche – e dall’altro i fornitori di servizio, società che offrono consulenze specifiche a privati, enti, banche e governi.

Per fare qualche nome, citiamo IBM Security, Palo Alto Networks, Cisco, Fortinet, Bae System e FireEye, alcune delle società più promettenti del momento.

Il settore è in decisa espansione: secondo dati IDC la spesa mondiale per la cybersecurity cresce di circa il 10% ogni anno, tre volte più rapidamente dell’economia globale e potrebbe raggiungere 120 miliardi di dollari entro il 2021.

E se fino ad ora gli investimenti si sono concentrati soprattutto in America, recentemente anche l’Unione Europea ha deciso di investire fino a 450 milioni di euro in una nuova partnership tra pubblico-privato nel settore della cybersecurity.

Sono numeri che lasciano pochi dubbi: la cybersecurity si profila come un vero e proprio megatrend, che anche gli investitori possono cavalcare.

 

Uno sguardo ai numeri.

I numeri ci dicono che dal 2015, l’indice è cresciuto del 78% circa (15% annualizzato).

 

E le prospettive ci dicono che, molto probabilmente siamo solo all’inizio di questa ascesa.

Una diversificazione su questo settore, consigliati e guidati da un professionista, meglio se attraverso la pianificazione di un piano di accumulo, potrebbe essere una scelta felice.

 

Mi chiamo Mauro Valentino, sono un Consulente Finanziario iscritto all’Albo Unico OCF e certificato EFPA, European Financial Advisor.

Lasciami le tue considerazioni, richieste, dubbi e/o approfondimenti, sarà un piacere poterti rispondere.

Ti ringrazio per l’attenzione,

a presto

Mauro

 

Fonte: AdviseOnly

01 Feb 2020

Coronavirus e mercati: calma e sangue freddo.

Visto il clamore mediatico, ed il panico diffuso anche fra i risparmiatori, mi sembra opportuno portare qualche notizia in più riguardo al Coronavirus ed al suo impatto sui mercati.

Partiamo con i dati.

L’indice Azionario Globale : MSCI World

Il 17 gennaio, l’indice MSCI World (l’indice azionario globale) ha toccato il suo massimo a 2415 $.  Dallo scoppio del virus, nei dieci giorni successivi ha perso il 2,5%, recuperando qualcosa negli ultimi giorni e attestandosi ad un – 1,6% circa dal suo massimo.

Quindi, ad oggi, un storno contenuto.

Per la maggior parte degli operatori, regna un moderato ottimismo, paragonandosi anche all’ultima grande paura di pandemia scoppiata a livello globale e cioè la SARS (2003).

Anzi, l’opportunità di sfruttare questo eventuale “rally” sembra ghiotta.

Guardando infatti agli ultimi allarmi virali a livello mondiale, notiamo una ripresa completa che va dal mese ai 3 mesi, dal massimo del picco negativo registrato.

 

Vi lascio in allegato un recente articolo del Sole 24 con il “consensus” di alcuni importanti gestori a livello mondiale, ricordando che, dal punto di vista comportamentale, attraverso una oculata strategia di accumulo, sono proprio questi i momenti in cui fare dei buoni acquisti a “saldo”.

https://www.ilsole24ore.com/art/borse-rosso-ma-coronavirus-non-portera-recessione-globale-AChoRNFB

 

 

Mi chiamo Mauro Valentino e sono un Consulente Finanziario iscritto all’Albo Unico OCF e certificato EFPA, European Financial Advsor.

Per qualsiasi dubbio, argomentazione, approfondimento, contattami! Sarà un piacere poterti rispondere!

Grazie e a presto,

Mauro

25 Gen 2020

BANCHE TRADIZIONALI E BANCHE RETI: CONOSCI LA DIFFERENZA?

L’altro giorno un caro amico mi chiede: “ma che differenza c’è fra te ed un private banker di MPS o Intesa San Paolo oppure BPER?”

La domanda mi ha scosso un po’, soprattutto detta da un amico (e cliente) che dovrebbe conoscere molto di te!

La scelta da me effettuata alcuni anni fa di abbandonare la Banca Tradizionale per dedicarmi alla libera professione è stata una scelta importante  e ponderata: la possibilità di poter offrire maggior qualità nel servizio di gestione dei risparmi dei miei clienti, per me era fondamentale.

Ma purtroppo tutto questo “fuori” non si vede.

E quindi qui cerco di spiegarti, concretamente, la differenza fra Banche Tradizionali (Unicredit, Intesa, Bper, Bpm, UBI etc…), identificate di solito dalle loro Filiali sparse (ancora fino a quando?) in maniera capillare in ogni provincia o comune, e le Banche Reti (Allianz Bank, Fideuram, Banca Mediolanum, Azimut, Fineco, Banca Generali, IW bank etc…) che, invece, non sono dotate, generalmente, della stessa capillarità di sportelli/filiali sul territorio.

Innanzitutto, partiamo col dire che sono tutte e due delle Banche. E cioè dotate di conti correnti, bancomat, carte di credito, possibilità di accredito dello stipendio e canalizzazione delle bollette, pagamento F24, bollettini postali, MAV etc… .

Tutte e due ormai dotate di Home Banking (da cui si può svolgere il 90%, se non il 100%, dell’operatività ordinaria) ma anche di sportelli bancari per operazioni di versamenti assegni o versamenti/ritiro contanti: la Banca Tradizionale tramite la propria rete di Filiali, la Banca Rete tramite convenzioni con le Banche Tradizionali (che si fanno giustamente pagare) per l’uso della loro rete di sportelli.

Le Banche Tradizionali trovano le loro radici nella storia: Banca Monte dei Paschi di Siena è la Banca più antica del mondo con i suoi 544 anni di storia (1472). E il business storico delle banche tradizionali è sempre stato quello di prestare denaro all’ economia reale (famiglie ed imprese) in cambio di interessi. Quindi, fare credito.

Le Banche Reti sono nate, invece, in tempi recenti ( Allianz BanK ha  appena compiuto i suoi primi 50 anni) e il loro business, al contrario, è sempre stato orientato esclusivamente alla gestione del risparmio.

E questa è sicuramente la differenza più importante: la loro NATURA è diversa. La prima è nata principalmente per fare CREDITO, le seconde per GESTIRE I RISPARMI.

Ma a partire da fine anni 90’ circa è iniziato a cambiare qualcosa nelle Banche Tradizionali. Mentre le Banche Reti hanno continuato a fare quello che hanno sempre fatto, la Banca Tradizionale si è accorta che col passare del tempo (e sempre di più al giorno d’oggi nell’ epoca dei tassi negativi), fare credito all’ economia reale in cambio di un interesse (sempre più risicato) non era più conveniente. In più ci si è messa in mezzo anche la Crisi del 2008 che ha riempito i bilanci di queste banche di Crediti Deteriorati (NPL) e le ha spinte a cercare redditività in altri settori.

Facendo leva sulla capillarità della loro rete di filiali hanno iniziato allora a rivolgersi alla risorsa più importante che si sono accorti di avere: i loro clienti.

Clienti abituati ad investire i loro risparmi in titoli di stato e a cui non è mai stato erogato un servizio di consulenza finanziaria.

Piano piano, anno dopo anno, attraverso la “spinta” e  i “consigli” dall’ “amico direttore della filiale” o anche dall’ “amico allo sportello della banca sotto casa”, la loro clientela è passata dalla sottoscrizione di titoli di stato (poco redditizi per la banca), a comprare le azioni e le obbligazioni della banca e a sottoscrivere strumenti di risparmio gestito ai quali applicare importanti costi di sottoscrizione che tanto bene avrebbero fatto ai sempre più esausti bilanci delle banche tradizionali.

E come hanno potuto cambiare così il loro business principale?

E qui viene la seconda importantissima differenza fra Banche Tradizionali e Banche Reti: hanno potuto farlo perché tutta la loro rete distributiva è costituita da dipendenti. E il dipendente, per definizione, fa quello che gli dice il capo.

Le Banche Reti, invece, da sempre e solo focalizzate sul business della Gestione del Risparmio, sin dalla loro nascita, si avvalgono della collaborazione di liberi professionisti. Che non eseguono ordini se non quelli del proprio cliente.

Quindi, tornando alla domanda iniziale e per cercare di rispondere al mio caro amico: la differenza tra me ed un Private Banker di una Banca Tradizionale è totale.

Io non eseguo ordini di distribuzione e se voglio mangiare, devo “solo” mantenere il mio cliente nel tempo.

Come?

Molto semplice: cercando di fare innanzitutto il suo interesse perché solo così potrà ringraziarmi rimanendomi fedele nel tempo.

Il Private Banker di una Banca Tradizionale vende quello che gli viene detto di vendere. Secondo strategie volte a soddisfare in primo luogo i bilanci della loro Banca, che, soprattutto dopo la crisi del 2008 hanno iniziato a non generare più utili per i loro esigenti azionisti (la trasformazione in atto nel sistema bancario tradizionale né è la riprova tangibile).

Il loro stipendio non cambia anche se un cliente si accorge del trattamento e li abbandona.

Infine, e forse è la cosa più importante, noi liberi professionisti per poter svolgere la Professione di Consulente Finanziario dobbiamo essere iscritti all’Albo Unico dei Consulenti Finanziari OCF, il che richiede innanzitutto il superamento di un esame molto tosto e ed un aggiornamento continuo.

La stessa cosa può non valere per un dipendente bancario che può assumere il ruolo di Private Banker in maniera discrezionale da parte del proprio datore di lavoro.

Sono due lavori diversi.

La Banca Tradizionale faceva credito e per motivi di utilità sta cambiando lavoro. I dipendenti eseguono degli ordini di vendita, che non sempre collimano con le esigenze diverse dei propri clienti.

La Banca Rete ha sempre fatto quello di mestiere: e cioè la gestione dei risparmi dei clienti attraverso la collaborazione con professionisti, che devono curare le esigenze dei loro clienti se li vogliono mantenere.

Premesso che i furfanti sono ovunque, come mai, per esempio, la recente truffa “sistematizzata” dei Diamanti da Investimento (che ha coinvolto circa 200.000 clienti fra Unicredit, MPS, Intesa, BPM e Aletti) è avvenuta, guarda caso, nelle reti di distribuzione delle Banche Tradizionali?

Un Consulente Finanziario onesto, che vive della fidelizzazione del proprio cliente, non l’avrebbe nemmeno preso in considerazione, perchè una retrocessione del 15% alla rete di distribuzione era ovvio nascondesse qualcosa.

E quindi, al di là delle etichette e dei nomignoli “ad effetto” per rendersi più carini ed attraenti, la differenza è tutta qui.

Mi chiamo Mauro Valentino e sono un Consulente Finanziario iscritto all’Albo unico OCF (www.organismocf.it) e certificato EFPA – European Financial Advisor.

Lasciami i tuoi commenti, sarà un piacere per me poterti rispondere.

Ciao grazie e a presto,

Mauro

18 Gen 2020

Lo Sharpe Ratio : un indicatore molto importante da valutare nei tuoi investimenti.

Quando andiamo al supermercato, siamo soliti confrontare uno stesso prodotto (latte, carne, formaggio, affettati) in base al suo prezzo al Kilogrammo.

Facciamo l’esempio classico del prosciutto crudo: 1 etto di San Daniele costa un po’ di più di quello della casa, ma abbiamo la garanzia di andare sul sicuro.

In questo caso, quindi, la formula PREZZO su UNITA’ DI PESO ci da una importante informazione. Più il risultato di questo rapporto è alto, più la qualità del prodotto, in teoria, è alta: che dopo vogliamo utilizzare questa informazione o meno dipende anche da altre variabili (es. a volte ci si può accontentare anche del prosciutto della casa).

Cercando di traslare questa metafora in ambito finanziario, l’indice di Sharpe è una formula che mi aiuta a confrontare la qualità di due o più strumenti finanziari.

Come dico sempre, infatti, la performance in sè di uno strumento finanziario non è tutto. Anzi, a volte, può mascherare rischi che non si vedono.

Prendiamo uno strumento finanziario (o un portafoglio) X e uno strumento finanziario Y.

Dall’ inizio dell’anno X ha performato il 10%. Y solo il 2%.

Tutti noi , quando decidiamo di investire i nostri risparmi, puntiamo ad avere il maggior rendimento possibile. Ma sappiamo che per ottenerlo dobbiamo sopportare più o meno rischi.

Lo strumento X ha performato un 10% dall’ inizio dell’ anno, ma con una volatilità del 40%.

Lo strumento Y ha avuto una performance del 2% , ma con una volatilità del 5%.

A quale dei due strumenti affideresti i tuoi risparmi ?

Diciamo che le variabili da considerarsi sono tante, tra cui ovviamente l’orizzonte temporale del mio investimento ed il grado di rischio che sono disposto a sopportare, ma lo Sharpe Ratio ci può dire che nel periodo considerato, come è stata la performance di uno rispetto all’altro, a parità di rischio sostenuto.

Infatti i due strumenti in questo momento esprimono performance diverse, ma sopportano RISCHI ben diversi !

La Sharpe Ratio, che deve il suo nome a William Sharpe, economista inglese, premio Nobel per l’economia nel 1990, ci dice proprio questo : e cioè quanto rendimento genera uno strumento finanziario per unità di rischio.

In questo modo, un po’ come si fa al supermercato quando si confrontano frutta, verdura, pesce o carne, siamo in grado di capire, in base alla medesima unità di rischio presa in considerazione, quale fondo sta “lavorando meglio”.

Infatti la formula dello Sharpe Ratio è la seguente:

 

A numeratore troviamo il rendimento dello strumento finanziario (nel periodo di tempo considerato) , diminuito del rendimento del titolo privo di rischio , tiotlo di stato AAA (che per comodità di calcolo in questa sede assumiamo sia pari a zero) ed al denominatore troviamo la misura del rischio (la volatilità) di quello strumento in quel periodo.

Applichiamo la formula al nostro esempio di X e di Y : che cosa vediamo?

SR di X = 10 – 0 / 40 = 0,25%

SR di Y = 2 – 0 / 5 = 0,4%

Anche se X nel periodo considerato sta avendo una performance decisamente maggiore, qualitativamente parlando, il gestore dello strumento Y sta lavorando meglio.

In proporzione, cioè, Y sta producendo più performance rispetto ad X.

Perché?

Perché se il rischio 40 che si sta assumendo X per ottenere 10, se lo assummesse Y (considerato che per ogni 5 di rischio ottiene 2 di performance), con l’assunzione di 40 di rischio otterrebbe, nello stesso periodo, 16 di performance anziché 10.

Più è alto lo Sharpe ratio, più lo strumento sta lavorando bene (= sta producendo maggior performance).

Quindi, se stai confrontando uno o più fondi di investimento, tieni sempre in conto, fra le altre variabili, anche il loro Sharpe Ratio. Più è alto, meglio è.

Ne parlo anche in un mio rudimentale video su Youtube che ti invito a guardare!

 

Mi chiamo Mauro Valentino e sono un Consulente Finanziario iscritto all’Albo Unico OCF (www.organismocf.it).

Mi raccomando, lasciami i tuoi commenti o le tue domande. Sarò lieto di poterti rispondere.

Ciao grazie e a presto !

Mauro

 

 

 

11 Gen 2020

Libero professionista, quale sarà la tua pensione? Le Casse di Previdenza, oggi.

Avvocati, Medici ed Odontoiatri, Veterinari, Consulenti del Lavoro, Ragionieri e Periti Commerciali, Ingegneri e Architetti, Geometri, Dottori Commercialisti, Agenti di Commercio, Psicologi, Chimici, Attuari, Geologi, Forestali, Agronomi … etc.

 

I liberi professionisti  sono da anni al centro di un costante percorso restrittivo quanto a prestazioni pensionistiche di primo pilastro: le Casse di Previdenza Professionali.

Sebbene ci sia eterogeneità tra le diverse categorie di professionisti, molte Casse arrivano a stimare tassi di sostituzione attesi (rapporto tra primo reddito da pensione e ultimo reddito da lavoro) in forte discesa, con prestazioni che arriveranno fino al 30/35% dell’ultimo reddito.

 

Da enti di diritto pubblico ad enti privati : la svolta del 1994 e l’impatto della riforma Fornero del 2011.

In Italia ci sono circa 1,5 milioni di professionisti iscritti ad un Ordine o ad un Collegio professionale.

Nel 1994 avviene un significativo cambiamento pensionistico per questi lavoratori, in quanto il decreto 509 trasforma le Casse di previdenza da enti di diritto pubblico in enti di diritto privato.

L’intervento normativo ha prodotto:

  • Rinuncia ai finanziamenti pubblici
  • Autonomia gestionale, organizzativa e contabile

A carico di tali enti era previsto un onere importante: garantire l’equilibrio finanziario (a tutela delle prestazioni pensionistiche) su un orizzonte temporale di 15 anni. A tal fine, potevano in autonomia modificare le aliquote contributive, le eventuali aliquote di rendimento ed i requisiti per la maturazione dei diritti.

Come noto, la legge 214/2011 meglio nota come «Riforma Fornero», ha impattato direttamente sulle prestazioni erogate dall’INPS introducendo l’età di pensionamento agganciata alle speranze attese di vita e, soprattutto, il passaggio al calcolo contributivo.

Sulle Casse professionali, la Riforma ha previsto l’obbligo di sostenibilità finanziaria su un periodo molto più esteso, chiedendo di «adottare misure volte ad assicurare l’equilibrio tra entrate contributive e spesa per prestazioni pensionistiche secondo bilanci tecnici riferito ad un arco temporale di 50 anni».

In conseguenza di ciò le Casse (salvo eccezioni che vedremo) hanno provveduto a:

  • Alzare l’età pensionabile
  • Introdurre meccanismi di calcolo pro-rata o contributivi puri

Il tutto, con inevitabili conseguenze negative in termini di prestazioni future.

 

L’integrazione del decreto n. 103 del 1996

Dal decreto 509/1994 rimanevano tuttavia fuori quei liberi professionisti sprovvisti di una Cassa di Previdenza.

A sanare la situazione ha provveduto il decreto 103/1996 il quale ha previsto:

  • Obbligo di costituzione di una nuova Cassa, in presenza di un numero di aderenti pari ad almeno 8.000 professionisti;
  • Inclusione dei professionisti sprovvisti di tutela previdenziale in altro ente previdenziale di una categoria professionale similare;
  • Istituzione dell’EPAP (Ente di Previdenza ed Assistenza Pluricategoriale) destinato ad accogliere tutti gli altri liberi professionisti.

In tal modo si è costituito un sistema di previdenza privata di primo pilastro, alternativo al gigante pubblico dell’INPS.

 

I contributi dei liberi professionisti

La contribuzione dei liberi professionisti si divide in:

  • Contributo soggettivo: calcolato in percentuale sul reddito professionale netto ai fini IRPEF dichiarato nell’anno precedente. Tale percentuale varia da Cassa a Cassa, è previsto un contributo fisso ed indipendente dal reddito solo in casi residuali (Notai e Farmacisti);
  • Contributo integrativo: calcolato sul fatturato e non sul reddito netto. Viene addebitato nelle fatture ai clienti e varia dal 2% al 5%. Dal 2011, le Casse possono decidere se destinare parte di questo contributo al montante contributivo dell’iscritto (e dunque alla pensione) o esclusivamente al funzionamento della Cassa;
  • Contributo di maternità: stabilito annualmente in misura fissa;
  • Contributo facoltativo modulare: se previsto, è un contributo che il professionista può decidere di versare in aggiunta a quello soggettivo per accrescere il montante pensionistico L’incremento di pensione dovuto a questo contributo è calcolato sempre con il metodo contributivo.

 

 

Con questi contributi, quale pensione?

Alla luce delle aliquote previste dalle principali Casse, e salvo residuali eccezioni (ad esempio Cassa del Notariato) appare evidente una differenza enorme rispetto a quanto previsto per i lavoratori dipendenti: le aliquote soggettive sono nettamente più basse (tra il 10% ed il 16% contro il 33% circa a carico dei dipendenti).

Con contributi di questa entità, su quale prestazione attesa può fare affidamento un libero professionista?

 

Facciamo un esempio…

 

Esempio: la pensione di un commercialista

Consideriamo un commercialista ed ipotizziamo che egli abbia un reddito ai fini pensionistici di 60.000 euro annui, per 35 anni. Consideriamo inoltre:

  • Aliquota contributi soggettivi: 12% del reddito
  • Aliquota di rendimento dei contributi versati: 2%
  • Coefficiente di conversione del montante in rendita: 5%

Così facendo, facendo un po’ di conti, il commercialista otterrebbe una pensione pari a circa 18.000 euro, con un tasso di sostituzione del 30% rispetto al reddito.

Possiamo considerare la stima non solo bassa, ma in parte anche ottimistica: come noto, il reddito dei professionisti è in genere più volatile ed incerto rispetto ai lavoratori dipendenti, così come l’allungamento della vita media potrebbe generare riduzione nei coefficienti di conversione finale.

 

La necessità di cambiare prospettiva

Lo scenario delineato pone diverse questioni.

Nello specifico:

  • Il passaggio dalla garanzia di prestazioni retributive ad un metodo contributivo genererà per la maggior parte di liberi professionisti una forte riduzione dei tassi di sostituzione;
  • Anche le basse aliquote contributive concorrono a questo problema, implicando la necessità di costruire un pilastro integrativo;
  • Quasi tutte le Casse hanno già previsto un aumento dei contributi nei prossimi anni: il professionista deve dunque prepararsi a maggiori flussi previdenziali in uscita, a prescindere dal fatto che decida di aprire un fondo pensione o meno;
  • I massimali contributivi sul reddito pongono un’altra questione: per chi ha redditi molto alti, il tasso di sostituzione sarà ancora più basso. Le pensioni, dunque, saranno in grado di garantire lo stesso tenore di vita? Pensarci per tempo è indispensabile.

 

Un’ultima questione: il contributo modulare

Abbiamo visto che in molte Casse è consentito all’iscritto il versamento di un ulteriore contributo (definito modulare) che vada a rafforzare la costruzione della pensione futura.

Chi effettua questo versamento dimostra di essere sensibile al tema: proprio per questo, è importante spiegare la convenienza ad irrobustire la pensione futura attraverso il terzo pilastro (fondi pensione e PIP) piuttosto che attraverso questa modalità, per almeno tre motivi…

1.Diversificazione del portafoglio previdenziale: perché affidare tutto ad un unico interlocutore, cioè la Cassa?

2.Maggiori rendimenti attesi: i mercati finanziari restituiscono un premio al rischio significativo e statisticamente superiore rispetto a quanto prodotto dalle gestioni finanziarie ordinarie. In questo caso, è determinante avere il giusto orizzonte temporale davanti

3.Efficienza fiscale: la tassazione delle forme di previdenza complementare consente un risparmio sensibile rispetto a quanto previsto dai regimi tributari ordinari.

 

La tematica è complessa e va necessariamente approfondita per singola Cassa di Previdenza, ma di certo vi è che il tasso di sostituzione stimato in media non può garantire lo stesso tenore di vita in fase di pensione e necessita di una integrazione, che va pianificata per tempo.

 

Mi chiamo Mauro Valentino e sono un Consulente Finanziario iscritto all’Albo Unico OCF nonchè certificato EFPA – European Financial Advisor e ritengo che la pianificazione previdenziale debba inserirsi al centro di ogni corretta pianificazione finanziaria.

 

Un caro saluto e buona pianificazione.

 

fonte: Kaidan by Ecomatica

 

 

04 Gen 2020

Investimenti Sostenibili: moda o sostanza?

Investimenti ESG : ENVIRONMENTAL, SOCIAL, GOVERNANCE.

Si chiamano così quegli strumenti finanziari che applicano un metodo di selezione degli assets basato su determinati criteri ambientali, sociali e di governo societario.

Investire in modo sostenibile significa rispettare precisi requisiti di sensibilità sociale: tener conto di cambiamenti climatici, inquinamento, sprechi e deforestazione per quanto riguarda l’ambiente; diritti umani, standard lavorativi e politiche di genere per quanto riguarda l’ambito sociale; infine, le logiche retributive del management, la composizione dei consigli di amministrazione, le procedure di controllo dei vertici societari con riferimento alle pratiche di governance.

Il crescente interesse riguardo al peggioramento della situazione climatica dimostrato dalle istituzioni sovranazionali mondiali sta generando una sempre maggiore sensibilità ambientale ed un sempre maggior interesse verso queste soluzioni di risparmio.

Sapere che i propri risparmi vengono destinati a società o ad aziende che rispettano determinati criteri di sostenibilità, è sicuramente un valore aggiunto.

Ma venendo al sodo, la domanda che tutti si pongono rispetto a questo tipo di investimento è:

Si ok, ma rende o è solo una moda?

Andiamo a vedere come si sono comportati gli investimenti sostenibili negli ultimi anni.

A quanto pare, bene.

Come dimostrato dallo studio della Banor Sim e della School of Management del Politecnico di Milano riportato in tabella, le obbligazioni con alto rating ESG hanno conseguito in termini di rendimento cumulato un vantaggio di 110 punti base nei 4 anni analizzati rispetto alle emissioni con basso rating ESG.

 

 

Il rating ESG (rating di sostenibilità)  rappresenta un giudizio sintetico circa la coerenza degli investimenti di un fondo dal punto di vista delle performance ambientali, sociali, e di governance. I rating ESG sono complementari al rating tradizionale e vengono elaborati da agenzie di rating specializzate. Per esempio, Morningstar (società specializzata in ricerche finanziarie a livello globale) ha unito le forze con Sustainalytics e ha reso operativi dal 31 ottobre 2019 nuovi rating di sostenibilità (Morningstar Sustainability Rating) per oltre 30.000 fondi.

 

 

I processi di elaborazione dei rating ESG si basano sull’analisi di diversi fattori tra cui: documenti aziendali, dati forniti dalle autorità di vigilanza, associazioni di categoria, informazioni pubbliche e informazioni raccolte da incontri con il management.

Concludendo: gli investimenti sostenibili si stanno ritagliano uno spazio crescente sia nell’offerta finanziaria che nell’attenzione mediatica. Non possiamo né dobbiamo ignorarli, e tantomeno considerarli come una moda.

Dietro l’approccio sostenibile c’è al contrario sostanza e ci sono diversi buoni motivi per utilizzarli in una corretta diversificazione di portafoglio, non ultima: la performance.

28 Dic 2019

Pensione integrativa e piano di accumulo: tempo ed interesse composto i due migliori alleati dei nostri figli.

Iniziare ad aiutarli a costruirsi il proprio futuro.

Il senso di questo bel articolo del “Corriere Economia” è tutto qui.

 

https://www.corriere.it/economia/finanza/cards/pensione-integrativa-master-etf-piano-d-accumulo-natale-regalate-investimento-figli-nipoti/strategia-risparmi-investimenti.shtml

 

I nostri figli si troveranno di fronte ad una situazione ben diversa da quella che hanno avuto i nostri padri: se da un certo lato potranno contare sul naturale travaso di ricchezza da una generazione all’altra, dall’altro lato non potranno contare più su un welfare sociale che li sostenga.

Sanità, istruzione, pensione sono i principali pilastri di un Welfare Statale che sta sempre più venendo meno.

Però abbiamo la possibilità grazie ad una corretta pianificazione finanziaria, di poter sopperire ai Gap che verranno a crearsi.

Ci sono due fattori che giocano a favore dei nostri figli, due fattori che in Finanza fanno la differenza: il fattore Tempo e l’ Interesse Composto.

Ne parlo in uno dei miei rudimentali video sul mio canale Youtube. Dimmi cosa ne pensi!

https://www.youtube.com/watch?v=Sh7Qt2szx-Q

 

Buone Feste a tutti e un radioso 2020!

A presto,

 

Mauro

23 Dic 2019

L’ arte magica della chiaroveggenza in Finanza.

Troppo spesso quando si parla ai propri clienti di pianificazione finanziaria, della ricerca del rendimento in relazione ai propri obbiettivi di vita, ci si scontra con chi inveve, in questo settore, pratica l’arte magica della chiaroveggenza.

 

Onestamente credo che questo tipo di contributo da parte dei media del settore, siano tempo sprecato, nel migliore dei casi, se non addirittura concetti dannosi per chi malauguratamente ha deciso di seguirne i consigli.

Da una parte la scienza, la statistica, lo studio delle probabilità … dall’altra lo studio delle stelle e la chiaroveggenza finanziaria.

Nessuno può sapere fino a dove si spingeranno Wall Street e le Borse Europee.

Esistono solo metodo, studio e pianificazione.

L’unica domanda che un risparmiatore deve porsi è : “per quanto tempo posso privarmi di quella determinata cifra?”.

L’unica questione da porre sul piatto è quindi, solo ed esclusivamente, l’orizzonte temporale dell’investimento da effettuare.

I mercati finanziari sono, infatti, RESILIENTI.

Ed è statisticamente, quindi scientificamente, dimostrabile.

La RESILIENZA è la «capacità di assorbire un urto senza rompersi, di affrontare e superare un evento traumatico»

La resilienza (i mercati si piegano ma non si spezzano) è una caratteristica statisticamente dimostrabile: l’economia si muove per cicli e la stessa cosa accade in finanza, dove alle fasi di discesa (anche marcata) fanno sempre seguito fasi di recupero e di nuova crescita.

 

Questo è l’andamento dell’indice azionario globale (MSCI World) negli utlimi 15 anni.

Come si può vedere, nel complesso, l’indice è passato da un valore di 1030 $ nel 2004 ad 2300 $ nel 2019, più che raddoppiando il suo valore in 15 anni.

Al netto delle discese anche marcate come il  -55% del periodo 2007-2009.

Storicamente, le fasi di crescita e di espansione sono più frequenti e prolungate rispetto alle fasi di recessione: l’investimento nell’economia reale, nel corretto orizzonte temporale, premia.

Infine, ti ricordo che la resilienza è una peculiarità degli investimenti diversificati, non degli investimenti in singoli titoli o settori: in quest’ultimo caso, infatti, esiste la possibilità che eventi particolari possano anche azzerare il valore dell’investimento. La diversificazione pertanto è la profilassi contro il rischio potenzialmente più nocivo: il rischio specifico.

 

 

14 Dic 2019

Che cos’è il MES ? Un pò di chiarezza .

Come ci suggerisce il sondaggio di Demopolis, non scoraggiamoci!

Siamo in ottima compagnia!

Il tema del MES è , d’altronde, un tema molto tecnico, per addetti ai lavori. Se ne sente parlare, ma nella realtà in pochi sanno veramente cos’è.  Come sempre il dibattito politico, in questi casi, non aiuta a farsi un’idea corretta.

L’obiettivo di queste righe è solamente quello di spiegare cos’è: il clamore che suscita è legato a visioni politiche che non riguardano questo breve articolo.

Ripeto, l’argomento è tecnico e quindi facciamo un passo alla volta.

  • Che cos’è il MES ?

Il Meccanismo Europeo di Stabilità (traduzione di ESM, European Stability Mechanism), è un organo intergovernativo europeo, la cui funzione è quella di supportare gli Stati membri che versano in situazioni finanziarie di particolare difficoltà al fine di salvaguardare la stabilità finanziaria dell’Unione Europea, per evitare che la crisi di uno stato membro si allarghi a macchia d’olio attivando conseguenze dannose ed irrecuperabili.

Il MES nasce con il Trattato istitutivo del 2 febbraio 2012 ed oggi ne fanno parte tutti i Paesi dell’Eurozona che, allo stato attuale, sono 19.

Il MES è, di fatto, prestatore di ultima istanza nell’Eurozona. Naturalmente, questa assistenza prevede un prezzo da pagare non tanto in termini finanziari,  quanto in termini di cessione di sovranità: il Paese finanziato entra in una specie di commissariamento che prevede regole rigide ed azioni precise propedeutiche a farlo rientrare in un sentiero di virtuosismo finanziario.

 

  • Potenza di fuoco del MES

Come già detto, al MES partecipano tutti i 19 membri dell’Eurozona, ciascuno dei quali detiene una quota basata sulla partecipazione al capitale versato nella Banca Centrale Europea. L’Italia è uno dei principali sottoscrittori, con una quota pari al 17,79%.

Tra le tante imprecisioni ascoltate in queste settimane vi è quella per la quale  la partecipazione al MES costerebbe all’Italia cifre enormi, pari a circa 125 miliardi di euro.

Questa affermazione è falsa.

Se infatti andiamo a guardare la fonte ufficiale del MES (www.esm.europa.eu), troviamo questa bella tabella che ci racconta un po’ di cose.

Cosa ci dice?

Ci dice che la potenza di fuoco totale del MES è pari a 704 miliardi di euro: questa è la cifra massima prevista come rete di protezione per gli aventi bisogno. Tuttavia, il capitale effettivamente versato dagli Stati partecipanti è ad oggi pari circa a 80 miliardi di euro.

E l’Italia ne ha versati ad oggi 14,33 in base alla sua quota di partecipazione.

 

  • Cosa prevede la riforma ?

Perché tanto chiasso sul Meccanismo di Stabilità, e perché proprio ora?

Nello scorso giugno, l’Eurogruppo ha raggiunto un accordo in merito alla revisione del MES. Si tratta di modifiche diverse e meno profonde rispetto alla proposta della Commissione Europea, che nel 2017 suggeriva di trasformare il fondo salva-Stati in un Fondo Monetario Europeo, che facesse le veci continentali di quello internazionale.

Ciononostante, tale accordo datato 13 giugno 2019 prevede che entro dicembre di quest’anno si sottoscriva un patto definitivo in merito alle modifiche da apportare, al fine di poterle poi ratificare negli Stati membri.

Le principali novità della riforma sono sostanzialmente due:

  • Il backstop, cioè la possibilità di utilizzare il MES come strumento per le ristrutturazioni bancarie. Tale procedura consentirebbe di evitare la ricapitalizzazione diretta da parte delle banche ad opera degli Stati, evitando dunque un immediato appesantimento sul debito pubblico a seguito dell’iniezione patrimoniale ed una più rapida risoluzione della crisi;
  • Le procedure per la ristrutturazione del debito pubblico (noto come “haircut”). Questo secondo punto è di fatto quello più chiacchierato che ha fatto da detonatore all’acceso dibattito pubblico delle ultime settimane.

Questa possibilità – cioè il taglio del valore nominale del debito e conseguente coinvolgimento degli investitori che detengono titoli di stato, i quali sono chiamati a condividere una perdita sul capitale – nasce di non alterare la principale legge di mercato, e cioè quella della domanda ed dell’offerta.

Ogni investitore, quando investe i propri denari, lo fa cercando di massimizzare il rapporto rischio/rendimento, in base a quello che è il proprio profilo di rischio ed il proprio orizzonte temporale.

Se investe in titoli di stato italiani (una volta avremmo detto quelli Greci), con un rating BBB-ed un rendimento a 10 anni del 1,315%, l’investitore sa che sta correndo un determinato rischio (rating BBB-) per ottenere quel rendimento (1,315% annuo).

Cosa accadrebbe, infatti, se un investitore, in un contesto macroeconomico di tassi a zero o negativi come quello attuale, potesse ragionevolmente pensare di poter investire su titoli rischiosi per ottenere maggiori rendimenti, nella consapevolezza che nella realtà non rischia nulla?

Non si vuole, giustamente, alterare questa elementare legge di mercato.

Non si vuole, cioè, che sia i Paesi richiedenti, sia gli investitori in titoli di quei Paesi, abbiano la ragionevole certezza che ci sia qualcuno pronto a soccorrerli in caso di bisogno, senza chiedere nulla in cambio.

Tuttavia, diversamente da quanto detto con sensazionalismo da più parti, non c’è alcun automatismo per cui l’eventuale richiesta di aiuti al MES faccia scaturire il coinvolgimento dei creditori. Si tratta di una considerazione discrezionale da parte dell’organismo, che deve valutare la sostenibilità del debito e gli interventi correttivi per poter concedere il programma di assistenza.

 

  • Rimangono alcune questioni aperte

La più importante riguarda certamente la discrezionalità della valutazione da parte del MES: quali siano i criteri adottati in questo complesso processo di analisi non è risaputo e non è definito in alcun documento ufficiale.

La seconda, riguarda la procedura di ristrutturazione del debito, che con le modifiche apportate risulterebbe meno macchinosa: le nuove clausole di azione collettiva sono previste infatti a voto unico, semplificando la procedura di eventuale ristrutturazione (c.d. single CACs)

Al di là delle speculazioni politiche, lo strumento ha una missione protettiva e funzionale alla realizzazione, almeno parziale, di una reale Unione non solo monetaria.

In ogni caso l’obiettivo di queste due righe era quello di fare un po’ di chiarezza attorno ad un tema estremamente tecnico, sul quale si prendono posizioni spesso senza averne la minima consapevolezza.

Spero di esserci riuscito.

07 Dic 2019

Per gli inguaribili nostalgici del TFR in Azienda e detrattori della Previdenza Complementare.

La rivalutazione del TFR in Azienda negli utlimi 10 anni è stata del 2% annuo.

Gli ultimi dati rilasciati dalla COVIP (la Commissione di Vigilanza sui fondi pensione) ci restituiscono i seguenti dati:

  • negli ultimi 10 anni, i fondi pensione (siano essi fondi negoziali, fondi aperti o PIP) nel loro comparto azionario hanno performato mediamente il 5,8%
  • Il comparto bilanciato, mediamente, il 3,83% annuo.

 

 

Se prendiamo un RAL medio di 25.000,00 euro, il TFR accantonato ammonta al 6,91% annuo e cioè a circa 1730,00 euro all’anno.

Significa che il TFR accumulato e rivalutato in Azienda negli utlimi 10 anni è stato di circa 19.300,00 euro a fronte di versamenti per 17.300,00 euro.

Se invece lo stesso TFR fosse stato messo in un comparto azionario di un fondo pensione qualsiasi, oggi sarebbero circa 24.000,00 euro.

Ovviamente questo senza contare altri 2 vantaggi importanti:

  • “Slegare” il proprio TFR dall’andamento dell’Azienda: lunga vita alle Aziende, linfa vitale del nostro tessuto economico … ma se qualcosa dovesse andare male? Che fine fa il TFR del lavoratore, al di là di tutte le tutele sindacali di questo mondo?

 

  • La tassazione finale. Che invece di essere minimo al 23% (in base allo scaglione di appartenenza) sarà, invece, massimo del 15% fino addirittura al 9% in base agli anni di permanenza nel fondo.

 

Proviamo a fare un esempio.

Trentenne, R.A.L. 25000,00 euro. Circa 35 anni di lavoro davanti a sè e, quindi, di accumulo del proprio TFR. Applichiamo un rendimento del 2% al TFR lasciato in Azienda, mentre, per difetto, solo un 3% di rendimento medio al TFR conferito nel Fondo Pensione.

Ben sapendo i rendimenti realizzati negli ultimi 10 anni (circa il TRIPLO del rendimento del TFR in Azienda), qui mi preme far vedere la differenza nel lungo periodo anche solo di 1 punto percentuale.

 

I numeri parlano da soli.

Mi preme ricordare, infine, a te, caro inguaribile sostenitore del TFR in Azienda che, per quanto riguarda invece il tema delle anticipazioni e dei riscatti, in Azienda gli stessi sono regolati dal Codice Civile (art.2120) e sono sono quindi soggetti a vincoli tanto quanto la Previdenza Complementare.

Della serie …. “Si ma in Azienda, se mi servono, li prendo quando voglio”.

In Azienda, se ti servono, innanzitutto bisogna vedere se ci sono, in secondo luogo li puoi prendere secondo i dettami del Codice Civile (art.2120) ed in ultimo, ti verranno tassati sempre minimo al 23%.

Caro inguaribile sostenitore del TFR in Azienda … contento tu.

 

 

23 Nov 2019

Mercati sui massimi: quanto durerà?

 

Questa domanda si ripete ciclicamente, all’indomani di ogni trend positivo di mercato.

Quanto durerà?

E di solito iniziano a proliferare le previsioni più disparate degli esperti del settore: chi dice che c’è ancora tanta strada e chi invece assicura che la corsa è finita e sarebbe meglio mettersi al riparo.

Bene. Detto questo, vi invito a fare un ragionamento.

Vi presento l’indice Standard & Poor 500, noto come S&P 500 o semplicemente S&P.

E’ stato realizzato da Standard & Poor’s nel 1957 e segue l’andamento di un paniere azionario formato dalle 500 aziende statunitensi a maggiore capitalizzazione.

La Borsa di New York (il NYSE, New York Stock Exchange) è la più grande borsa valori a livello mondiale e rappresenta circa il 40% della capitalizzazione di tutto il mercato azionario globale.

Di conseguenza, studiare l’andamento dell’indice S&P 500 negli ultimi 90 anni è particolarmente significativo, per capire come si muove il mercato azionario americano e, di conseguenza, quello globale.

Nell’ultimo decennio (da dopo la crisi del 2008) l’indice S&P 500 , come si vede in tabella, ha performato circa il 13% annualizzato.

Tanto. Non tanto quanto nel ventennio 1980-2000, ma tanto.

E la domanda che ci si pone, in questi casi, è sempre la stessa: quanto durerà?

Premesso che nessuno ha la sfera di cristallo, lo studio e le analisi ci aiutano ad affrontare questo scenario (che ciclicamente si ripete).

In questi casi, a mio modo di vedere, ci sono 3 cose da tenere a mente, sempre.

Primo: la strategia. Sapere di avere tra i propri strumenti un piano di accumulo, ci rende consapevoli di aver in mano l’unica strategia che ci premia ad ogni eventuale, salutare e naturale discesa dei mercati.

Secondo: i numeri. Se si investe nel principale indice azionario americano, l’indice S&P 500 appunto, i numeri ( e cioè 90 anni di storia ) ci dicono che con un orizzonte temporale ad 1 anno, abbiamo il 27% di possibilità di andare incontro ad una perdita. A 3 anni il 17%, a 5 anni il 12%, a 10 anni il 6%, a 15 anni l’1%.

Per “holding period” superiori si è statisticamente certi di avere un ritorno positivo.

Terzo: l’orizzonte temporale. Chiedersi sempre: fra quanto tempo mi serviranno questi risparmi? E’ l’unica domanda a cui un risparmiatore deve rispondere con accuratezza.

Per rispondere quindi alla domanda iniziale:

durerà quel che durerà, consapevoli che una “correzione” ci sarà sicuramente, prima o poi, e che sarà il preludio ad una nuova risalita. Ma soprattutto che questa “correzione”  era già ampiamente prevista in fase di pianificazione coerentemente con il proprio orizzonte temporale.

 

Se non ho abbastanza tempo davanti, quindi, non investo nel mercato azionario.

Semplice.

24 Ago 2019

LA CERTEZZA DEL LUNGO PERIODO

Nella testa del risparmiatore, il conto corrente/conto deposito, il deposito a tempo, il bot, sono tutti strumenti che danno sicurezza. Nella testa del risparmiatore italiano la liquidità è sicura.

Averli sempre a disposizione. Poterli toccare con mano ogni qual volta che si vuole, come faceva Zio Paperone quando andava a farsi un tuffo nella sua cassaforte piena zeppa di monete d’oro.

Non lo dico io, ma l’ultima indagine sul risparmio delle famiglie italiane, condotta da Intesa SanPaolo con la collaborazione del Centro Einaudi (https://www.centroeinaudi.it/images/abook_file/risparmio-19/19_408_bro_einaudi_2019.pdf), dove si evince che il 38% circa degli intervistati ha come prima necessità per i propri risparmi la liquidtà, mentre solo il 7,6% mette in primo piano il rendimento di lungo periodo.

Infatti che cos’è che inquieta il risparmiatore italiano nel pianificare investimenti nel lungo periodo: la volatilità dei mercati, la loro oscillazione.

In realtà, e cioè MATEMATICAMENTE, è vero esattamente il contrario.

Infatti, chi rischia di più?

Chi li tiene sul conto corrente o chi investe nel lungo periodo?

Proviamo a leggere questo istogramma (ringraziando gli amici di Ecomatica www.ecomatica.it per la rielaborazione).

Rappresenta l’andamento, suddiviso per periodi di detenzione, di uno degli indici azionari più importanti al mondo, e cioè lo S&P 500, dal 1928 ad oggi.

E’ vero: i risultati passati non sono mai indice di rendimenti futuri, ma a questa frase bisognerebbe sempre aggiungere, per onestà intellettuale, che anche la liquidità lasciata sui conti correnti non significa certezza di averceli sempre a disposizione, anzi. E qui mi fermo, perché l’argomento merita di essere trattato a parte.

 

L’istogramma rappresenta il Massimo Rendimento e Minor Rendimento ottenuto dall’indice in base al periodo di detenzione dello strumento.

In pratica stiamo misurando, con dati reali, con dati storici riferiti all’indice azionario più capitalizzato al mondo su un arco temporale di circa 90 anni, quella cosa che spaventa tantissimo il risparmiatore italiano : come si comporta la VOLATILITA’ dei mercati azionari.

E che cosa vediamo?

Se in questi ultimi 90 anni circa avessimo investito per un anno i nostri risparmi nell’indice in questione avremmo potuto ottenere un massimo risultato del 52,6% , ma anche un minimo risultato del – 43,8%. La forbice, l’oscillazione in questo brevissimo orizzonte temporale sarebbe stata di oltre 95 punti percentuali.

Se avessimo investito  per 3 anni invece che 1, le cose sarebbero cambiate leggermente: infatti saremmo incorsi nell’opportunità di guadagnare al massimo un 30,8% , correndo un rischio di perdere un -27,3%. 59 punti percentuali di forbice.

In 5 anni notiamo già che il minimo si riduce notevolemente: si mantiene alto il massimo a 28,3% di guadagno, con un rischio di perdere il 12,7%.

Con un orizzonte temporale di detenzione dello strumento a 10 anni, notiamo una cosa strabigliante: di fatto si azzera il rischio di perdere denaro ( -1,7%) con la possibilità di guadagnare un massimo del 20,1%.

Oltre i dieci, la forbice tra massimo e minimo si attenua e soprattutto il minimo è sopra lo ZERO = non vi è stato, storicamente, rischio di perdita di capitale se avessimo investito nell’indice azionario S&P 500 per un orizzonte temporale superiore ai 10 anni. Con possibilità di guadagni importanti.

Questo dicono la matematica e la storia.

Cosa ne deduciamo?

Allungando l’orizzonte temporale, la volatilità dello strumento finanziario diminuisce.

E quindi, investire negli indici azionari per poco tempo equivale ad una SCOMMESSA, mentre investire negli indici azionari per periodi prolungati equivale ad una CERTEZZA.

Si può dire la stessa cosa per la liquidità parcheggiata sul conto corrente?

Rischio inflazione, rischio paese, rischio emittente, tassi negativi, costi bancari etc  …

Se il fine è quello di preservare i propri risparmi nel tempo, la liquidità rappresenta la certezza di perdere denaro.

Ma ne parleremo più approfonditamente nel prossimo articolo.

12 Ago 2019

MIFID 2 e il bravo Consulente

La Mifid2 è una normativa europea introdotta in Italia a partire dal 01 gennaio 2018.

In che cosa consiste?

Mifid2 obbliga gli intermediari finanziari (le Banche) ad applicare una serie di procedure volte alla maggiore trasparenza nei confronti dei clienti finali, gli investitori.

E questo attraverso informative ex ante ed ex post molto dettagliate che riguardano non solo le caratteristiche del prodotto finanziario proposto (la durata, la composizione, il rischio, i costi etc …) ma anche e soprattutto attraverso una’analisi del cliente/investitore per capire se effettivamente quel prodotto è adatto al suo profilo di rischio.

Norma assolutamente necessaria per indirizzare e sensibilizzare maggiormente gli operatori del settore ed evitare storture e “forzature alla vendita” che , innegabilmente, nel passato, anche recente, hanno fatto parlare i media, a ragion veduta, di “risparmio tradito”.

Ciò non toglie che, dal mio punto di vista, il professionista serio abbia da sempre operato seguendo principi deontologici tali da potergli consentire di conoscere e valutare a fondo le caratteristiche del proprio cliente e della sua famiglia, e di proporgli lo strumento finanziario più adatto alle sue esigenze. Informandolo puntualmente sui costi sostenuti e sugli obbiettivi che si desidera raggiungere.

Perché dico questo?

Perché, almeno per quanto mi riguarda, Mifid 2 è sempre esistita.

Infatti per poter consigliare lo strumento finanziario più adeguato ad un cliente, è essenziale conoscerlo : conoscere lui/lei dal punto di vista personale, lavorativo e familiare ma anche aziendale, qualora sia un imprenditore.

In Mifid2 si chiama “profilatura del cliente”.

In una parola: conoscerlo.

Esistono alcune domande che possono sembrare superflue o addirittura banali,  ma che sono invece imprescindibili e che ogni bravo Consulente dovrebbe fare ai propri clienti o futuri clienti prima di ogni investimento.

 

1) Hai mai investito in passato? Quanto sai di investimenti, economia e finanza? (questa prima domanda è rivolta essenzialmente a possibili futuri clienti, che non hanno mai investito con quel Consulente)

2) Quale durata vorresti avesse il tuo investimento? O meglio, per quanto tempo puoi privarti di questi soldi e quando ne avrai bisogno? (in pratica, definire l’orizzonte temporale dell’investimento)

3) Quali sono i tuoi obbiettivi? Hai un obbiettivo di lungo periodo?

4) Come reagiresti, durante il periodo concordato dell’investimento, ad oscillazioni in negativo del capitale investito?

 

In seguito, il bravo Consulente, sarà in grado di proporti un ventaglio di soluzioni e per ognuna delle quali, attraverso la consegna dei relativi fogli informativi, ti illustrerà i relativi costi da sostenere in totale trasparenza.

Il parallelo automatico è quello con la figura del Medico.

Il Medico parte sempre dall’anamnesi del paziente per inquadrare e capire meglio i sintomi presentati. Una volta analizzato il tutto nel suo complesso è in grado di elaborare una cura, dettagliandola nei suoi particolari.

 

Il tuo Consulente ha sempre seguito queste minime e basilari norme di comportamento?

Allora sei in una botte di ferro.

27 Lug 2019

Si ok, ma qual è il tasso?

“Che tassi ci sono adesso?”

Durante la mia giornata lavorativa fra clienti, potenziali tali, amici e parenti, quando si inizia a parlare di investimenti, 9 volte su 10, questa è la domanda che mi sento rivolgere.

E mi rendo conto che molto spesso ci sono delle aspettative di remunerazione dei propri risparmi che sono assolutamente fuori contesto.

E allora faccio una veloce “googolata” e mi accorgo che ci sono Banche che offrono , per un deposito vincolato ad un anno,  addirittura l’ 1,50%.

 

Siamo a luglio 2019, e per questo dico “addirittura” e soprattutto dico “attenzione”.

Faccio quindi un’ ulteriore “googolata” di approfondimento e vedo, per esempio, come volevasi dimostrare, che la Banca Popolare di Bari, non naviga in acque tranquille.

 

 

E questo cosa c’entra? C’entra eccome!!!

Provo a spiegarmi meglio.

Che cos’è e come si forma il tasso d’interesse?

Il tasso offerto da un emittente per remunerare i depositi dei propri clienti si compone di due parti:

  • La prima è uguale per tutti e lo decide il mercato : discende dalle decisioni della Banca Centrale, che abbassa o alza questo tasso in base alle diverse condizioni macroeconomiche. La Banca Centrale è un po’ come un miscelatore d’acqua: mette acqua fredda quando l’acqua nella vasca è troppo calda e, viceversa, quando l’acqua è troppo fredda, mette acqua calda.

Nelle fasi di difficoltà economica (come quella che stiamo vivendo da dopo il 2008) tende ad abbassare i tassi, per agevolare l’economia attraverso l’agevolazione del credito; viceversa quando il ciclo economico è in espansione, alza i tassi d’interesse per contenere l’inflazione.

Questo primo mattoncino è la base di ogni rendimento, il “minimo” che tutti i “prestatori” dovrebbero incassare.

Descrive quello che in genere viene chiamato “tasso risk-free” e viene misurato con il tasso IRS (interest rate swap).

 

  • C’è poi una seconda parte, che non ha nulla a che vedere con il mercato, e che dipende dal soggetto specifico a cui si presta denaro.

Tanto più quest’ultimo sarà solido ed affidabile, tanto più questo secondo mattoncino sarà sottile.

Qualora invece il debitore fosse più traballante e fragile, egli sarebbe “costretto” a compensare questa debolezza strutturale con una maggiore remunerazione.

Questo secondo mattoncino viene comunemente chiamato spread.

 

Tornando alla domanda iniziale (“che tassi ci sono?”) e all’offerta attuale di conti deposito a 12 mesi, è bene quindi sapersi che l’IRS a 1 anno, oggi, recita così :

 

-0,39% !!!

 

Che cosa significa?

Significa che il secondo tasselo che compone il tasso offerto della Popolare di Bari, e cioè lo SPREAD,  è molto spesso: essendo in questo momento un emittente non particolarmente sicuro, per attirare “prestatori” di denaro, è disposta a remunerare quasi 2 punti percentuali in più rispetto al tasso “privo di rischio”, su un orizzonte temporale di 12 mesi.

 

Quindi, che cosa dovrebbe fare un investitore prima di farsi ammaliare dal tasso?

Dovrebbe semplicemente scomporlo: per capire se esso è generato più dal tassello numero 1 (il mercato, il ciclo economico) o dal tassello n. 2 (le condizioni di affidabilità in cui versa il singolo debitore).

 

E se invece di prestarli, li avessimo presi in prestito noi dei soldi dalla Banca?

E’ bene tenere d’occhio Il tasso IRS, non solo quindi per valutare la solidità dell’emittente a cui intendiamo prestare i nostri risparmi, ma anche, al contrario, se abbiamo preso in prestito dei soldi da una banca:

il tasso IRS viene utilizzato, infatti, anche per i Mutui a tasso fisso.

In questo caso i prestatori sono le Banche.

 

Come si vede da questa tabella, il tasso IRS negli ultimi 15/20 è variato molto, perché, come ci siamo detti prima, sono variate molto le condizioni macroeconomiche.

Ad esempio, il tasso IRS a 10 anni è passato dal 4,78% del settembre 2002 allo 0,24% del luglio 2019.

Se posso quindi permettermi un ultimo consiglio, questo è quindi assolutamente un buon periodo, valutando attentamente i costi e gli spread (“tassello n. 2”) applicati, per contrarre un mutuo prima casa e, soprattutto, per surrogare vecchi mutui fatti prima del 2008.