Libero professionista, quale sarà la tua pensione? Le Casse di Previdenza, oggi.

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I liberi professionisti  sono da anni al centro di un costante percorso restrittivo quanto a prestazioni pensionistiche di primo pilastro: le Casse di Previdenza Professionali.

Sebbene ci sia eterogeneità tra le diverse categorie di professionisti, molte Casse arrivano a stimare tassi di sostituzione attesi (rapporto tra primo reddito da pensione e ultimo reddito da lavoro) in forte discesa, con prestazioni che arriveranno fino al 30/35% dell’ultimo reddito.

 

Da enti di diritto pubblico ad enti privati : la svolta del 1994 e l’impatto della riforma Fornero del 2011.

In Italia ci sono circa 1,5 milioni di professionisti iscritti ad un Ordine o ad un Collegio professionale.

Nel 1994 avviene un significativo cambiamento pensionistico per questi lavoratori, in quanto il decreto 509 trasforma le Casse di previdenza da enti di diritto pubblico in enti di diritto privato.

L’intervento normativo ha prodotto:

  • Rinuncia ai finanziamenti pubblici
  • Autonomia gestionale, organizzativa e contabile

A carico di tali enti era previsto un onere importante: garantire l’equilibrio finanziario (a tutela delle prestazioni pensionistiche) su un orizzonte temporale di 15 anni. A tal fine, potevano in autonomia modificare le aliquote contributive, le eventuali aliquote di rendimento ed i requisiti per la maturazione dei diritti.

Come noto, la legge 214/2011 meglio nota come «Riforma Fornero», ha impattato direttamente sulle prestazioni erogate dall’INPS introducendo l’età di pensionamento agganciata alle speranze attese di vita e, soprattutto, il passaggio al calcolo contributivo.

Sulle Casse professionali, la Riforma ha previsto l’obbligo di sostenibilità finanziaria su un periodo molto più esteso, chiedendo di «adottare misure volte ad assicurare l’equilibrio tra entrate contributive e spesa per prestazioni pensionistiche secondo bilanci tecnici riferito ad un arco temporale di 50 anni».

In conseguenza di ciò le Casse (salvo eccezioni che vedremo) hanno provveduto a:

  • Alzare l’età pensionabile
  • Introdurre meccanismi di calcolo pro-rata o contributivi puri

Il tutto, con inevitabili conseguenze negative in termini di prestazioni future.

 

L’integrazione del decreto n. 103 del 1996

Dal decreto 509/1994 rimanevano tuttavia fuori quei liberi professionisti sprovvisti di una Cassa di Previdenza.

A sanare la situazione ha provveduto il decreto 103/1996 il quale ha previsto:

  • Obbligo di costituzione di una nuova Cassa, in presenza di un numero di aderenti pari ad almeno 8.000 professionisti;
  • Inclusione dei professionisti sprovvisti di tutela previdenziale in altro ente previdenziale di una categoria professionale similare;
  • Istituzione dell’EPAP (Ente di Previdenza ed Assistenza Pluricategoriale) destinato ad accogliere tutti gli altri liberi professionisti.

In tal modo si è costituito un sistema di previdenza privata di primo pilastro, alternativo al gigante pubblico dell’INPS.

 

I contributi dei liberi professionisti

La contribuzione dei liberi professionisti si divide in:

  • Contributo soggettivo: calcolato in percentuale sul reddito professionale netto ai fini IRPEF dichiarato nell’anno precedente. Tale percentuale varia da Cassa a Cassa, è previsto un contributo fisso ed indipendente dal reddito solo in casi residuali (Notai e Farmacisti);
  • Contributo integrativo: calcolato sul fatturato e non sul reddito netto. Viene addebitato nelle fatture ai clienti e varia dal 2% al 5%. Dal 2011, le Casse possono decidere se destinare parte di questo contributo al montante contributivo dell’iscritto (e dunque alla pensione) o esclusivamente al funzionamento della Cassa;
  • Contributo di maternità: stabilito annualmente in misura fissa;
  • Contributo facoltativo modulare: se previsto, è un contributo che il professionista può decidere di versare in aggiunta a quello soggettivo per accrescere il montante pensionistico L’incremento di pensione dovuto a questo contributo è calcolato sempre con il metodo contributivo.

 

 

Con questi contributi, quale pensione?

Alla luce delle aliquote previste dalle principali Casse, e salvo residuali eccezioni (ad esempio Cassa del Notariato) appare evidente una differenza enorme rispetto a quanto previsto per i lavoratori dipendenti: le aliquote soggettive sono nettamente più basse (tra il 10% ed il 16% contro il 33% circa a carico dei dipendenti).

Con contributi di questa entità, su quale prestazione attesa può fare affidamento un libero professionista?

 

Facciamo un esempio…

 

Esempio: la pensione di un commercialista

Consideriamo un commercialista ed ipotizziamo che egli abbia un reddito ai fini pensionistici di 60.000 euro annui, per 35 anni. Consideriamo inoltre:

  • Aliquota contributi soggettivi: 12% del reddito
  • Aliquota di rendimento dei contributi versati: 2%
  • Coefficiente di conversione del montante in rendita: 5%

Così facendo, facendo un po’ di conti, il commercialista otterrebbe una pensione pari a circa 18.000 euro, con un tasso di sostituzione del 30% rispetto al reddito.

Possiamo considerare la stima non solo bassa, ma in parte anche ottimistica: come noto, il reddito dei professionisti è in genere più volatile ed incerto rispetto ai lavoratori dipendenti, così come l’allungamento della vita media potrebbe generare riduzione nei coefficienti di conversione finale.

 

La necessità di cambiare prospettiva

Lo scenario delineato pone diverse questioni.

Nello specifico:

  • Il passaggio dalla garanzia di prestazioni retributive ad un metodo contributivo genererà per la maggior parte di liberi professionisti una forte riduzione dei tassi di sostituzione;
  • Anche le basse aliquote contributive concorrono a questo problema, implicando la necessità di costruire un pilastro integrativo;
  • Quasi tutte le Casse hanno già previsto un aumento dei contributi nei prossimi anni: il professionista deve dunque prepararsi a maggiori flussi previdenziali in uscita, a prescindere dal fatto che decida di aprire un fondo pensione o meno;
  • I massimali contributivi sul reddito pongono un’altra questione: per chi ha redditi molto alti, il tasso di sostituzione sarà ancora più basso. Le pensioni, dunque, saranno in grado di garantire lo stesso tenore di vita? Pensarci per tempo è indispensabile.

 

Un’ultima questione: il contributo modulare

Abbiamo visto che in molte Casse è consentito all’iscritto il versamento di un ulteriore contributo (definito modulare) che vada a rafforzare la costruzione della pensione futura.

Chi effettua questo versamento dimostra di essere sensibile al tema: proprio per questo, è importante spiegare la convenienza ad irrobustire la pensione futura attraverso il terzo pilastro (fondi pensione e PIP) piuttosto che attraverso questa modalità, per almeno tre motivi…

1.Diversificazione del portafoglio previdenziale: perché affidare tutto ad un unico interlocutore, cioè la Cassa?

2.Maggiori rendimenti attesi: i mercati finanziari restituiscono un premio al rischio significativo e statisticamente superiore rispetto a quanto prodotto dalle gestioni finanziarie ordinarie. In questo caso, è determinante avere il giusto orizzonte temporale davanti

3.Efficienza fiscale: la tassazione delle forme di previdenza complementare consente un risparmio sensibile rispetto a quanto previsto dai regimi tributari ordinari.

 

La tematica è complessa e va necessariamente approfondita per singola Cassa di Previdenza, ma di certo vi è che il tasso di sostituzione stimato in media non può garantire lo stesso tenore di vita in fase di pensione e necessita di una integrazione, che va pianificata per tempo.

 

Mi chiamo Mauro Valentino e sono un Consulente Finanziario iscritto all’Albo Unico OCF nonchè certificato EFPA – European Financial Advisor e ritengo che la pianificazione previdenziale debba inserirsi al centro di ogni corretta pianificazione finanziaria.

 

Un caro saluto e buona pianificazione.

 

fonte: Kaidan by Ecomatica